Tyche
Tyche nasce all’interno di due importanti centri formativi italiani: la Civica Paolo Grassi di Milano e la Scuola Conia, istituto di tecnica della rappresentazione sostenuto dalla Socìetas Raffaello Sanzio.
Tyche è formato da cinque membri: un coreografo (Michele Ifigenia Colturi), un dramaturg (Ciro Ciancio), due performer/danzatrici (Enzina Cappelli, Andreyna De la Soledad) e un regista (Riccardo Vanetta).
Citerone
Co/produzione
“Io, il figlio di Zeus, sono ora qui, in questa terra di Tebe, io, Diòniso […] Ho mutato il mio aspetto divino in sembianze umane, sono giunto alla fonte Dirce, alle acque dell’Ismeno […] Mi sono spinto sin qui, subito dopo avere fatto danzare l’Asia, introdotto i miei riti, per rivelarmi dio ai mortali. In Grecia, ho cominciato a scatenare grida acute di donne proprio a Tebe, ne ho ricoperto il corpo con la pelle del cerbiatto, ho messo nelle loro mani il tirso, un’arma avvolta di edera.” Euripide, Le Baccanti
Il lavoro parte da un’analisi specifica del testo Le Baccanti di Euripide estrapolando la sfera corale della tragedia. L’opera narra il ritorno di Dioniso, dio dell’estasi, in una Grecia irrispettosa nei confronti della sua essenza divina. La vendetta è alle porte ed è diramata lungo lo svolgersi degli avvenimenti: capro espiatorio di questo riscatto sono le donne tebane, vittime e poi carnefici, giostrate dai disegni del dio vendicatore. Un gruppo di donne, le baccanti del Citerone, vengono identificate da due interpreti, sintesi del coro greco. Il progetto intende rappresentare l’origine della tragedia greca: il Ditirambo, un canto pregno di poesia e danza. Questo è l’inizio, questo è il prologo del teatro occidentale; la coreografia vuole essere un canto corporeo in onore di Dioniso.
Credits
Coreografia Michele Ifigenia Colturi
Performer Enzina Cappelli, Andreyna De La Soledad
Dramaturg Ciro Ciancio
Consulenza registica Riccardo Vanetta
Cuma
Co/produzione
Ritratto di una Sibilla generica e del suo disfacimento profetico.
Sviscerando la figura profetica del folle, si entra in contatto con la dimensione irrazionale dell’uomo, dove il logos si scontra con il Chaos, figura mitologica posta al principio dell’origine, colui che generò la vita.
“Dunque, per primo fu il Chaos, e poi Gaia dall’ampio petto.” (Teogonia, Esiodo)
Credits
Coreografia Michele Ifigenia Colturi
Dramaturg Ciro Ciancio
Performer Federica D’Aversa
Suono Tarek Bouguerra
Consulenza registica Riccardo Vanetta
Amadriadi
Co/produzione
Un’evocazione visiva in relazione allo spazio urbano/contemporaneo. La figura delle Amadriadi diventa un espediente per regalare un momento di sospensione allo spettatore.
[…]un torpore pesante
petto viene cinto da una
corteccia sottile, i capelli si
dilatano in fronde, le
braccia in rami, il piede
prima tanto veloce si fissa
in salde radici, la cima di
un albero prende il posto
del volto, soltanto il
fulgore rimane in quella.
Metamorfosi di Ovidio, Libro I
La metamorfosi viene cristallizzata per concedere all’occhio di gioire di questa trasformazione.
Credits
Coreografia Michele Ifigenia Colturi
Performer Federica D’Aversa, Enzina Cappelli, Andreyna De La Soledad
Foto Lorenzo Basili
Produzione Tyche
Co-produzione Ariella Vidach AiEP
Zoocam
Il mito di Pasifae si fa spunto per un percorso corporeo tra repressione e pulsione erotica. La donna, offuscata dalla mente divina, si invaghisce di un toro bianco. Per poter soddisfare i suoi desideri Dedalo, l’architetto di corte, le costruisce una giovenca di legno di modo che lei, posizionatasi nuda al suo interno, possa ingannare il toro e farsi quindi possedere da lui. Da quell’atto nascerà il minotauro, Ibrido tra umano e animale, che verrà rinchiuso nel labirinto di Cnosso fino alla sua morte per mano di Teseo.
La zoofilia contenuta nel mito diventa il simbolo della bestialità che è insita in noi mentre, la costruzione della giovenca, è la rappresentazione dei modi che escogitiamo per dare sfogo a questa pulsione.
Il mito viene ripreso fedelmente ma i riferimenti cambiano, e così la potenza del toro viene resa attraverso la sua disarticolazione. Un coro di schiene, in costante dialogo con Pasifae, riempie la scena di movimenti muscolari e stasi rievocando la potenzialità visiva del mito.
Così, se il toro diventa frammento, análysis, allo stesso modo la “giovenca”, che prima era composta da pura materia, si trasforma irrimediabilmente in un oggetto multimediale. La presenza sullo schermo degli arti della donna non sono altro che il rimando a un’altra dimensione, a un altro luogo in cui la censura non agisce sui personaggi.
A Pasifae è affidata la sýnthesis, e cioè suo è il compito di tenere insieme tutti i segni all’interno della coreografia.
Il minotauro non è quindi la punizione che la donna subisce dal dio per essere stata posseduta dal toro, ma la figura mitologica che nasce dall’amplesso non è altro che l’espressione della volontà di Pasifae che si fa forma.
La donna, dopo aver subito il processo di multimedializzazione, esce allo scoperto come carne viva, pronta a ricongiungersi col dio, coadiuvata solo ed esclusivamente dal suo corpo.